Personalità, disturbi della> |
L'esistenza di differenze individuali, che sono rintracciabili nella comunità e mostrano assetti stabili, ha da sempre interessato gli studiosi. Nel corso del '900 si affermarono vari orientamenti nel tentativo di elaborare una classificazione dei tipi di personalità e dei possibili disturbi associati. Nella teoria tipologica somatica, che riprende alcuni dei temi legati alla costituzione, l'elemento decisivo per classificare gli individui resta legato, come in passato, ad aspetti morfologici. Per E. Kretschmer sussistevano quattro difformi tipi somatici: astenico, atletico, picnico e displasico. Attraverso sistematiche misurazioni delle parti del corpo e collegandosi alla nascente nosografia psichiatrica egli associò il tipo leptosomico (longilineo) all'area schizofrenica, quello picnico (brevilineo) ai quadri maniaco-depressivi, l'atletico all'epilessia. Per W. Sheldon la classificazione si basa invece sulla prevalenza di aspetti viscerali (endomorfici), scheletrici (mesomorfici) e cutanei e nervosi (ectomorfici). Al primo tipo - viscerotomico - si associano caratteri gioviali, al secondo - somatotonico - energia e aggressività, al terzo - cerebrotonico - sensibilità e inibizione. I. Pavlov propose una tipologia prettamente funzionale, basata sulle risposte individuali al condizionamento: ne emergono i tipi eccitabile, equilibrato, inibito. Nella tipologia psicologica di C. G. Jung (1921), invece, esistono due assetti fondamentali, definiti in base all'orientamento verso l'oggetto: il tipo introverso - più legato al mondo interno e più autoriflessivo - e quello estrovertito, caratterizzato da una maggiore facilità di relazioni interpersonali. Tali assetti si articolano con quattro funzioni psicologiche - pensiero, sentimento, sensazione, intuizione - per definire un complesso sistema di classificazione degli individui. Lo studio della personalità da parte della psicoanalisi, nel suo porre l'Es alla base del funzionamento psichico, era inizialmente legato a due grandi categorie diagnostiche: la nevrosi e la psicosi, ma presto molti teorici cominciarono ad allontanarsi dalle prime formulazioni freudiane, iniziando a considerare come obiettivo del trattamento non solo i sintomi, ma l'intera personalità. Nella personalità - o meglio nel carattere - trovano piena espressione i temi evolutivi cari a S. Freud e legati allo sviluppo della sessualità nelle fasi orale, anale, fallica e genitale. Successivamente Freud tentò di classificare gli individui basandosi sulle tre istanze dell'Es, Io e Super-io. Ne conseguono un carattere libidico, rappresentante delle esigenze elementari dell'Es, con una libido rivolta alla vita amorosa, e una conseguente dipendenza dall'esterno; un carattere ossessivo, con il predominio delle proibizioni superegoiche e aspetti rivolti al «controllo» del mondo interno; un carattere narcisistico, più orientalo alla «conservazione di se stesso» e quindi indipendente e aggressivo. La caratterologia psicoanalitica si arricchì con le ulteriori osservazioni sulle fasi evolutive - in K. Abraham con la suddivisione del carattere orale in un orale soddisfatto e insoddisfatto e in O. Fenichel con i tipi fobici, isterici, coatti, cicloidi, schizoidi - e con l'approfondirsi di modelli evolutivi diversi da quello originario di Freud. Vanno ricordati i lavori di W. Reich (1933), che sottolinea l'esistenza di una corazza caratteriale che in qualche modo protegge dai sintomi inscrivendoli in un funzionamento «distorto» generale, che comprende anche il corpo. l'articolare attenzione è stata rivolta da Reich al carattere fallico-narcisistico, dove l'apparente sicurezza di sé deriva da una sopravvalutazione del pene. K. Horney (1939) completò gli studi precedenti dando un contributo sul versante sociale, descrivendo l'influenza della cultura occidentale sulla «personalità nevrotica». E. Fromm (1955), infine, riteneva che la struttura nevrotica di personalità riflettesse un comportamento economico eccessivamente avido, dovuto all'appartenenza alla società capitalistica. Più recentemente, la psicoanalisi ha insistito soprattutto sulla necessità di tenere in maggior considerazione i fattori relazionali (soprattutto con la figura materna nei primissimi anni di vita) e quelli costituzionali (aggressività), dedicandosi così anche al trattamento di gravi situazioni cliniche. O.Kernberg, partendo dagli studi di M. Klein e di M. Mahler, ha indicato come fondanti per la personalità la gestione dell'aggressività di base e la separazione dalla figura materna. Sono i compiti evolutivi essenziali per ognuno di noi, i cui fallimenti danno origine a tre grandi organizzazioni di personalità: quella nevrotica, quella borderline e quella psicotica. Nella prima, la più vicina al funzionamento normale, l'individuo accetta sia la separazione sia di farsi carico della propria aggressività; nella seconda, nonostante una separazione generale dalla figura materna, manca ancora la capacità di attribuire in modo equilibrato spinte e desideri, cosicché la madre viene vista come figura ideale o persecutoria, intaccando la possibilità di future relazioni armoniche e la gestione di desideri specifici. L'organizzazione psicotica appare segnata, invece, dalla mancata separazione dalle figure parentali: la capacità di distinguere l'interno dall'esterno è deficitaria, costituendo la base per gravi forme patologiche. H. Kohut si focalizzò soprattutto sulle sottili vicissitudini relazionali che legano il bambino alla madre nei primissimi anni di vita; l'attenzione viene così rivolta soprattutto alle necessità di uno scambio costante e armonico per garantire la crescita della sicurezza narcisistica. È come se il bambino cercasse nell'adulto la conferma di qualità di base ormai idealizzate, quali calma, sicurezza e forza. Col tempo, egli imparerà a tollerare le piccole delusioni inevitabili accorgendosi che questi aspetti sono più sfumati e oscillanti. La carenza della risposta parentale e la precocità delle disillusioni lasceranno il bimbo sprofondato in una fase in cui, per la crescita del suo Sé (ovvero la struttura sovraordinata che contiene e armonizza impulsi, progetti, capacità), è fondamentale «rispecchiarsi» e ottenere un'immagine di sé stabile. La personalità narcisistica è dunque frutto di un deficit genitoriale. In generale, per un'ampia parte del pensiero psicoanalitico contemporaneo - quello più lontano dalle radici pulsionali sessuali -il tema della caratterologia si risolve in approcci che descrivono alcune aree particolarmente significative della strutturazione della personalità. Oltre all'attenzione per l'area narcisistica già citata da parte di Kohut, si può ricordare la centralità della personalità schizoide per W. Fairbairn, e l'enfasi per l'autenticità della propria personalità (o meglio del proprio Sé) in D. Winnicott. L'approfondimento di tipo psichiatrico cerca di costruire una nosografia descrivendo i sintomi che caratterizzano le personalità patologiche. Questi tentativi legati a una psicopatologia di tipo tassonomico prendono spunto dai lavori di E. Kraepelin, di K. Schneider, di K. Jaspers e di E. Bleuler; da qui provengono ad esempio termini quali personalità anancastica (compulsiva) o emotivamente instabile, tuttora rintracciabili in alcune classificazioni contemporanee, basate, a grandi linee, sulla distinzione in psicosi organiche e funzionali, nevrosi, disturbi del carattere e handicap (o ritardo) mentale. Nel dopoguerra, queste diverse posizioni hanno dato origine a un approccio classificatorio descrittivo. Fu Schneider nel 1950 (la sua prima classificazione risale al 1923) a fornire uno dei primi elenchi corredati da sintomi di dieci diverse forme di «personalità psicopatica». Nella prima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-I, 1952) comparivano quattro tipi principali di personalità poco curabili (inadeguata, schizoide, ciclotimica, paranoide) in una sezione, altri quattro in una differente sezione (emotivamente instabile, passivo-aggressivo, compulsiva, altro) e infine quattro variabili della sociopatia (reazioni antisociali, reazioni dissociali, deviazioni sessuali, addiction). A partire dalla seconda edizione (1968) la malattia tende a essere identificata attraverso criteri di presenza-assenza di sintomi specifici. I disturbi di personalità, contenuti in un'unica sezione, erano dieci: paranoide, ciclotimico, schizoide, esplosivo, ossessivo-compulsivo, isterico, astenico, antisociale, passivo-aggressivo, inadeguato. Il DSM-III (1980) prevede la piena adesione a un modello medico della malattia mentale, con elenchi per ogni patologia e una soglia: per poter formulare una diagnosi deve essere presente un numero minimo di criteri. Sono inoltre previsti due assi: nel primo sono poste le grandi e tradizionali malattie psichiatriche (schizofrenia, disturbo maniaco-depressivo, disturbi d'ansia, ecc.); nel secondo i disturbi di personalità, con la possibilità - frequente - che coesistano patologie di personalità e quadri per così dire «acuti» sul primo asse, come un disturbo di tipo borderline (caratterizzato di una forte instabilità emotiva e da un'accentuata tendenza al comportamento impulsio) e una depressione. Ciò implica che questi quadri vengano visti in una certa misura come indipendenti fra loro. Il DSM-IV (1994) definisce il disturbo di personalità come un pattern duraturo di esperienza interna o comportamento che si discosta notevolmente dalle aspettative della cultura cui l'individuo appartiene. Esso deve manifestarsi in almeno due delle seguenti aree: esperienza cognitiva (ad es. modi di percepire e interpretare se stessi, le altre persone e gli eventi), affettività (ad es. gradazione, intensità, labilità e appropriatezza della risposta emotiva), funzionamento interpersonale o controllo degli impulsi. Il pattern deve inoltre risultare non modificabile o pervasivo in un'ampia gamma di situazioni sociali e condurre a una condizione di disagio personale, sociale, occupazionale, ecc., clinicamente significativa. Infine, il pattern deve essere stabile e di lunga durata e insorgere almeno nell'adolescenza o nei primi anni della vita adulta. Sono da escludere le alterazioni della personalità riconducibili all'uso di qualche sostanza o a patologie mediche. L'ICD-10 (1992), invece, considera i disturbi di personalità come un raggruppamento inserito fra altri quadri psicopatologici. L'ICD ha preso spunto dalla definizione dell'Oms del 1978 di «modalità disadattive» profondamente radicate, riconoscibili dall'adolescenza, e che perdurano per buona parte della vita adulta, anche se meno evidenti con la mezza età e la terza età. La personalità è abnorme sia nell'equilibrio delle sue componenti, sia nella loro qualità ed espressione, sia infine nella loro globalità. In queste definizioni si fa riferimento alla rigidità, alla disadattività, sottolineando la «sofferenza» e le difficoltà relazionali. Mentre la definizione di personalità «nevrotica» riguarda il modo in cui un soggetto cerca di affrontare istinti e conflitti intrapsichici per lui intollerabili, i disturbi della personalità riguardano il modo in cui un soggetto cerca di affrontare persone e situazioni esterne per lui intollerabili, in passato o nel presente. Gli elementi più significativi, comuni a entrambe le definizioni, sono la presenza di un disturbo del comportamento, un'importante ripercussione sul funzionamento globale, l'esordio precoce e il decorso cronico. Una differenza sostanziale è rappresentata dal fatto che le categorie del DSM sono algoritmiche, prevedono una soglia da raggiungere (su nove criteri, ad esempio, la diagnosi è possibile quando ne sono soddisfatti almeno cinque) e aumentano così l'affidabilità della diagnosi, mentre per l'ICD è il clinico a valutare se i criteri riportati e soddisfatti dal paziente consentano o meno di porre la diagnosi. In entrambi i sistemi vengono elencati dieci specifici disturbi. Il DSM, a differenza dell'ICD, li raggruppa in tre cluster: A, B, C. Nel complesso si ritiene che la prevalenza dei disturbi di personalità, così come definiti dal DSM, sia intorno al 10% nella popolazione generale. È bene precisare che questi elenchi si basano sulla tradizione clinica, e non hanno un fondamento empirico più specifico: si limitano a descrivere alcuni assetti che sembrano ripetersi con una certa frequenza e avere genesi e decorso simili, senza opzioni in merito all'eziopatogenesi. Non sono previsti indicatori precisi, né di natura biologica, né psicologica, a supporto di questa suddivisione, il che provoca posizioni molto diverse, alcune delle quali giungono a negare l'esistenza di tali disturbi. La maggior parte degli studiosi, tuttavia, pur non risparmiando critiche, tende a ritenere le categorie proposte comunque indicative di realtà cliniche reali e di una certa gravità. Sia il DSM che l'ICD elencano sintomi accostabili alla schizofrenia, descrivendo una personalità schizotipica, una schizoide e una paranoide. Il disturbo schizotipico, caratterizzato da distorsioni cognitivo-percettive e da relazioni insoddisfacenti, è inserito dall'ICD fra le psicosi, mentre per il DSM è un vero e proprio disturbo della personalità. Il disturbo schizoide e quello paranoide sono descritti in modo simile: il primo è caratterizzato da un'accentuata indifferenza per le relazioni e una ridotta capacità di sentire emozioni, mentre il secondo connota un soggetto estremamente sospettoso e diffidente. La diversa collocazione dello schizotipico da parte dell'ICD è anche motivata dalla sua parentela con la schizofrenia di cui potrebbe essere una forma attenuata. Alla base ci sarebbe uno «spettro schizofrenico», cioè una suscettibilità, geneticamente rafforzata, ad ammalarsi con diverse gradazioni: dalle forme più acute e gravi, quelle schizofreniche, a quelle più lievi, le schi-zotipiche. Tra i fattori comuni indicatori di vulnerabilità biologica vi sarebbero disturbi dell'attenzione visiva e uditiva e della percezione sensoriale in genere. Per alcuni autori anche il disturbo schizoide farebbe parte dello spettro, mentre quello paranoide potrebbe essere imparentato solo con una delle forme della schizofrenia (quella appunto paranoide) e con i disturbi deliranti. I tre disturbi che compongono il cluster A del DSM-IV sono schizotipico, schizoide e paranoide. Si tratta del raggruppamento dove pili numerosi sono i riscontri sull'influenza di fattori biologici, anche se si tende a parlare di «maggiore suscettibilità» ad ammalarsi, piuttosto che di influenza causale. Entrambi i sistemi descrivono poi alcuni disturbi (il cluster B del DSM-IV) caratterizzati dallo scarso controllo degli impulsi o da relazioni interpersonali drammatiche e oscillanti, come la psicopatia, che il DSM ha ribattezzato disturbo antisociale e l'ICD «dissociale», caratterizzata dalla pervasiva inosservanza delle regole sociali e dei diritti altrui. Nel DSM, per formulare questa diagnosi è necessario che sia stato rilevato anche in età infantile un disturbo della condotta, suggerendo la presenza di una linea che va da disturbi comportamentali precoci (fughe da casa, ecc.) a comportamenti de linquenziali espliciti in età adulta, spesso complicati da abuso o dipendenza da sostanze. E’ stata richiamata la possibilità di un legame anche con il disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività (Adhd). Studi recenti sottolineano invece come l'itinerario che conduce all'antisocialità in età adulta sia estremamente complesso, non esclusivamente riconducibile all'evoluzione di disagi precedenti, ma piuttosto legato a vicende di carattere psicosociale. I pochi studi sul trattamento sembrano sottolineare l'inefficacia di interventi terapeutici, anche di natura diversa. Il disturbo borderline di personalità è caratterizzato nel DSM da impulsività e forte instabilità relazionale. Possono essere presenti anche oscillazioni del tono dell'umore nell'arco di periodi di tempo brevi. Sono inoltre frequenti i tentativi di suicidio che a volte si concludono con la morte (in circa il 10% dei casi). L'ICD-10 parla di disturbo emotivamente instabile, suddiviso in due sottotipi: il borderline e l'impulsivo. In generale, si tratta di uno dei disturbi più diffusi e maggiormente studiati anche dalla psicoanalisi, che negli anni '30 identificò appunto un gruppo di pazienti « al confine » fra nevrosi e psicosi. Nonostante i numerosi tentativi di costruire modelli esplicativi (ad es. l'influenza di abusi sessuali infantili o la parentela con il disturbo maniaco-depressivo), non sembrano esservi dati dirimenti. Entrambi i manuali descrivono il disturbo istrionico di personalità, in cui il soggetto appare caratterizzato da una eccessiva emotività, con aspetti teatrali, e da una costante ricerca di attenzione che appare spesso superficiale e infantile, come la seduttività, che sembra a volte il canale principale per la ricerca di relazioni. E’ in parte riconducibile all'antica isteria, anche se privo dei suoi tipici sintomi fisici eclatanti. Il disturbo narcisistico di personalità, riportato solo dal DSM, descrive una persona che ha una concezione grandiosa di sé e relazioni basate sullo sfruttamento e sulla svalutazione, come nel disturbo antisociale, che ha però caratteristiche pili eclatanti e una frequente aggressività che lo differenzia dal narcisista. Secondo alcuni studiosi si tratterebbe di un disturbo fortemente legato a modificazioni sociali, quasi caratteristico dell'epoca con temporanea. Troviamo infine una serie di disturbi cararatterizzati soprattutto da aspetti ansiosi. Il primo è il disturbo di evitamento di personalità (disturbo ansioso per PICD), nel quale il soggetto tende a evitare relazioni ravvicinate, intime, poiché teme le critiche, i giudizi, si sente inferiore e inadeguato. Il disturbo dipendente caratterizza persone che tendono a delegare sempre ad altri le decisioni importanti della propria vita per averne in cambio il costante appoggio. Per alcuni autori le differenze fra questi ultimi due disturbi sono ridotte. Infine è classificato il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità (anancastico per l'ICD), nel quali il soggetto è caratterizzato da un'eccessiva tendenza al controllo sia nell'ambito lavorativo che in quello relazionale; ne emerge un soggetto rigido, testardo ed emotivamente inibito. Per il DSM-IV disturbo evitante, dipendente e ossessivo-compulsivo fanno parte del cluster C. Negli ultimi vent'anni questa classificazione ha dato inizio, grazie al supporto di criteri specifici, a ricerche pili precise, che hanno mostrato come per alcuni disturbi - narcisistico, istrionico e, parzialmente, borderline - le psicoterapie siano il trattamento pili indicato, mentre per altri hanno un ruolo importante i farmaci o forme di trattamento integrate. Inoltre, si sono sviluppati studi sui fattori biologici correlati, così come sull'influenza dei fattori sociali. La stessa genesi dell'elenco dei disturbi (per lo pili basata sulla tradizione e l'esperienza clinica) ha però spesso reso tali ricerche difficili, facendo sì che molti autori mettano in discussione lo status stesso di alcuni disturbi. Inoltre, i criteri non riescono a differenziare in modo completo i disturbi fra loro, il che genera sovrapposizioni (codiagnosi) frequenti. Una strategia di ricerca diversa proviene dallo studio dei tratti di personalità. Invece di focalizzare l'attenzione su sindromi cliniche categoriali, definite come patologiche e differenziate dal funzionamento normale, si ipotizzano tratti di base, presenti in ognuno di noi, che divengono patologici solo se «estremi» e dunque alla base degli stessi disturbi. Per identificare questi aspetti di base si definiscono strutturalmente i tratti attraverso l'analisi fattoriale di questionari di personalità fondata su principi teorici presenti nelle diverse riflessioni sulla personalità. Un'altra possibile strategia è quella lessicale: le dimensioni emergono dal patrimonio del linguaggio comune che «descrive» alcune categorie principali. Acquistano così rilievo alcuni fattori (di solito tre o cinque) che riescono a rendere ragione delle differenze individuali, correlando eventualmente tali fattori di base con ricerche biologiche e genetiche. In estrema sintesi, questi trattti sarebbero influenzati e da aspetti costituzionali - il temperamento - e dal contesto -il carattere. Tale «approccio dimensionale» mira dunque a identificare gli aspetti di base, e la personalità nel suo complesso appare come una serie di tratti, misurabili quantitativamente e rappresentabili come dimensioni separate fra loro. I disturbi di personalità divengono diagnosticabili superata una soglia oltre la quale i tratti, per la loro intensità, si dimostrano disadattativi. I diversi modelli concordano tutti nell'identificazione di due aspetti: estroversione e nevroticismo. Il primo appare riconducibile a un basso livello di arousal che spinge il soggetto a cercare contatti, a essere vivace ed eccitabile; mentre l'introverso, partendo da un alto livello di arousal, necessita di poche stimolazioni e appare, di conseguenza, riservato e chiuso. Il nevroticismo riflette la stabilità emozionale: persone con un punteggio alto saranno facilmente soggette a turbamenti emotivi, ansiose, mentre punteggi bassi caratterizzano soggetti più «sanguigni». H. Eysenck (1991) aggiunge a queste due dimensioni lo psicoticismo, che è relativo allo scarso coinvolgimento relazionale, più sul versante «psicopatico» che «psicotico»; sono coinvolti aspetti come impulsività, aggressività, insensibilità. Volendo ricondurre questi approfondimenti alle classificazioni psichiatriche DSM, al cluster A apparterebbero pazienti con elevata introversione, al B pazienti con elevato psicoticismo, al C pazienti con elevato nevroticismo. P. Costa e R. McCrae (1992) propongono un modello a cinque fattori: estroversione, nevroticismo, gradevolezza (calore emotivo vs freddezza e ostilità), coscienziosità (autocontrollo vs impulsività), apertura all'esperienza (immaginazione vs inibizione). Alcuni autori hanno cercato di integrare tali dati ai correlati biologici e di temperamento. C. Cloninger (1993) ha proposto un modello tridimensionale basato su ricerca della novità, evitamento del danno, dipendenza dalla ricompensa. La prima dimensione è riconducibile a un aspetto attivatore delle strutture cerebrali il cui principale neurotrasmettitore è la dopamina; la situazione-stimolo è quella della novità, della sospensione della ripetitività dell'esperienza, cui segue una risposta esplorativa. La seconda dimensione è legata a sistemi inibitori, correlabili alla serotonina; in questo caso abbiamo comportamenti legati a situazioni frustranti, con risposte di evitamento passivo. Infine, esiste un sistema modulatore, di natura noradrenergica, dove a ricompense o interruzione di punizioni segue il mantenimento di pattern comportamentali. La combinazione di questi fattori dà luogo a otto tipologie di patologia della personalità (antisociale, istrionica, passivo-aggressiva, schizoide-esplosiva, ciclotimica, passivo-dipendente, ossessivo-compulsiva, schizoide). Cloninger ha aggiunto poi un'ulteriore dimensione temperamentale (persistenza) e tre dimensioni legate al carattere (autodirezionalità, cooperatività e auto trascendenza). Abbiamo così gli assetti di base temperamenta-li che, uniti ad aspetti esperienziali legati al carattere, descrivono le varie sfaccettature e i vari equilibri fra disposizioni costituzionali e interventi ambientali; la personalità appare come la «somma» di temperamento e carattere. Più recentemente la ricerca biologica si è focalizzata sul concetto unitario di Behavioral Facilitation System (bfs, sistema di facilitazione comportamentale): si tratta di un sistema regolatore della ricerca di gratifica zione attraverso l'incentivazione, sovraor-dinato rispetto a sistemi parziali, legati a neurotrasmettitori specifici. Il bfs, attraverso un sistema ascendente (proveniente da strutture cerebrali mesocorticali) regolato dalla dopamina, è in grado di operare valutazioni cognitive sull'ambiente circostante, di agire come interfaccia fra le strutture cerebrali deputate a trasmettere gli stati emotivi e quelle deputate a iniziare il movimento, guidare verso l'ottenimento della gratificazione. Troviamo qui altre dimensioni sottolineate da A. Tellegen (1988): l'emotività positiva, e la coazione (simile allo psicoticismo) riconducibili all'azione della serotonina che ha un ruolo inibitorio-tonico nel bfs, che cioè regola l'intensità del sistema di ricerca incentivo-ricompensa. A bassi livelli di serotonina corrispondono iper-reattività e labilità. Infine nel modello di Tellegen abbiamo l'emotività negativa (nevroticismo) legata al sistema noradrenergico. Un tentativo di sistematizzazione di queste diverse posizioni teoriche vede il bambino, durante i primi anni di vita, mostrare una certa gamma di comportamenti (ampia ma non infinita), che entra in relazione dialettica con l'ambiente, sia venendo «selezionata» dall'ambiente stesso, sia grazie all'influenza diretta su di esso che i bambini esercitano inducendo gli altri a modellare le proprie risposte per conformarsi ai loro tratti. Esiste un'area più «costituzionale» che va a integrarsi con aspetti di apprendimento sociale in un contesto psicoaffettivo. Alcuni di questi modelli sembrano ricondurre il funzionamento della personalità all'interno di cornici evoluzionistiche, cercando quindi di delineare quali siano i fattori di base più coinvolti nella sopravvivenza della specie. Ad esempio, Th. Millon e R. Davis (1997) hanno proposto una sintesi fra questi temi e la teoria freudiana, presentando tre dimensioni base, parzialmente riconducibili proprio alle polarità di Freud: piacere/dolore, Sé/oggetto, attività/passività. A ciò si è aggiunto più recentemente il bipolarismo pensiero/ sensazione. In questo modo la ricerca sugli assetti base della personalità e sulle sue distorsioni patologiche diviene una ricerca sulle motivazioni di base, finalizzate ali'autoconservazione e alla procreazione. La riflessione contemporanea sulla personalità e i suoi disturbi tende dunque a sottolineare che l'apprendimento sociale, lo sviluppo psicobiologico e il contesto psicoaffettivo contribuiscono a formare una serie di tratti profondamente impressi e difficilmente modificabili, che contengono e informano la personalità del bambino, cioè i suoi modi più o meno integrati e abituali di funzionamento psicologico e comportamentale. Emergendo dalla complessa storia personale, tali tratti andranno a costituire lo stile personale, base dell'equazione personale. I tratti che compongono la personalità costituiscono così una trama, magari silente o incomprensibile, ma in ogni caso piuttosto ordinata. La patologia è riconducibile a un'estremizzazione dei tratti che divengono in alcuni casi disadattativi dando luogo a disturbi; la di-sadattatività di tali assetti può essere esacerbata o mitigata dai contesti sociali. Siamo in presenza di due opzioni: quella categoriale (DSM) e quella dimensionale. I ricercatori del campo dimensionale tentano di costruire modelli che siano alla base delle forme patologiche intese come un'estremizzazione di assetti di funzionamento normale. Ma poiché l'elenco dei disturbi proviene da tradizioni diverse fra loro, è possibile che alcuni di questi disturbi siano effettivamente leggibili in un'ottica dimensionale (ad es. è plausibile che il disturbo narcisistico sia l'estremizzazione della condivisa tendenza a tenere alta, anche artificiosamente, la nostra autostima), e che altri siano più comprensibili categorialmente (ad es. schizotipico). Inoltre, alcuni di questi deficit hanno legami clinici ed empirici con patologie definite dal DSM di asse I, come il disturbo schizotipico con la schizofrenia, il borderline con i disturbi affettivi (distimia, disturbo ciclotimico). Rappresenterebbero, dunque, forme diverse di disturbi psichiatrici «conclamati». Ciò significa confrontarsi con un'area tutt'altro che omogenea, dove coesistono estremizzazioni di funzionamenti normali, veri e propri disturbi e forme frustre di altri disturbi (ad es. forme più lievi e ironiche di disturbi psichiatrici che hanno sposso forme acute). SERGIO DAZZI e FABIO MADEDDU |